Chiesa di Santa Chiara

L’origine della comunità religiosa delle Clarisse a Montelupone risale al 1567, quando alcune Terziarie francescane formarono una famiglia religiosa denominata di “Santa Maria della Misericordia”, dal titolo della Chiesa della Confraternita del Gonfalone.

A questa chiesa si trovava unito il Monastero (impropriamente detto, dato che si trattava di una semplice casa) ma alla fine del secolo fu assegnata loro la Chiesa di San Giovanni Evangelista e San Nicolò in Castello, nella quale già nel 1502 era stata istituita la Prepositura dal Cardinale Francesco Todeschini Piccolomini (elevato al soglio Pontificio nel 1503 col nome di Pio III) trasferita poi a metà del Settecento nella Chiesa Collegiata. Nel 1586 Montelupone passò sotto la Diocesi di Loreto, appena creata da Sisto V (era prima sottoposto alla Chiesa Cattedrale di Fermo) e nel 1592 iniziò la costruzione del Monastero, che nel 1636 passò sotto la Regola di Santa Chiara. Quando nel 1747 la Prepositura fu trasferita alla Collegiata la chiesa divenne di proprietà delle Monache. Nel 1789 le Clarisse decisero di ampliare la chiesa, quando era Badessa Suor Maria Eleonora Mazza, morta in odore di santità l’11 Maggio 1806. Esiste un disegno del progetto del Coro della Chiesa di Santa Chiara fatto dall’architetto Andrea Vici d’Arcevia (1743-1817), il che fa pensare che sia suo il progetto dell’intera nuova chiesa, in stile tardobarocco, richiamato anche dalla Cantoria e dai Coretti lignei in essa inseriti; discepolo del Vanvitelli, Andrea Vici operò molto nelle Marche, pur vivendo stabilmente a Roma: nella Basilica di Loreto, ad Offagna, ad Osimo, ridisegnò inoltre la Piazza di Treia, di cui progettò anche la Cattedrale, forse l’ultima importante chiesa tardobarocca in clima di Neoclassico avanzato, essendo essa degli anni 1810-14. Subite le modifiche dovute all’intervento iniziato nel 1789, la Chiesa di S. Chiara fu solennemente consacrata il 14 giugno 1801. Con il passaggio delle truppe napoleoniche, fatto che comportava la soppressione degli Ordini Religiosi e la confisca dei beni, le Monache dovettero lasciare il Monastero e vi fecero ritorno nel 1822. Una seconda soppressione, ad opera del Governo italiano, costrinsero ad un secondo allontanamento le Clarisse, che rientrarono nel 1878 e riebbero la chiesa fino al 1903. In seguito essa fu adibita inspiegabilmente a magazzino. Divenuto proprietario il Comune, che aveva l’obbligo di officiarla, si decise per i lavori di restauro che permisero di riavere l’edificio di Culto aperto per il Dicembre 1924. Fu tra l’altro bombardata nel 1944 dalle truppe tedesche in ritirata. Il 26 Novembre 1972 una leggera scossa di terremoto causò l’adagiamento di una capriata del vecchio tetto sulle volte di legno della chiesa, che nel Gennaio seguente precipitò all’interno. Dopo i lavori di ripristino delle strutture, la chiesa fu riaperta il 23 settembre 1978, in quell’occasione furono recuperati i due mensoloni a foggia di cariatidi che sono ora conservati nella Pinacoteca civica. Negli anni Trenta le Suore dell’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante ereditarono l’attività scolastica delle Clarisse. Entrando dalla parte destra della chiesa ci troviamo subito di fronte ad una delle opere che rendono particolarmente interessante questo edificio religioso:si tratta di una delle quattro porte intarsiate per questa chiesa dall’anconetano Cristoforo Casari. Qui troviamo, nei pannelli superiori, San Nicola da Tolentino in atto di celebrare la Santa Messa e le Anime purganti che volano al cielo per intercessione del Santo e quindi San Pietro d’Alcantara. Nei pannelli inferiori è raffigurato tra motivi floreali, lo stemma del Vescovo Francesco Cantucci, primo Vescovo di Loreto nel 1586, della cui Diocesi entrò a far parte Montelupone. Giuseppe Benesi di Recanati eseguì nel 1801 le croci per la consacrazione della chiesa. Il San Giuseppe con il Bambino riprende i modelli del bolognese Carlo Cignani (1628-1716). La pala di questa cappella è una copia dell’Annunciazione della Vergine che Federico Barocci (1535-1612) dipinse per la Cappella dei Duchi di Urbino della Basilica di Loreto; l’originale, trasferito a Roma per essere tradotto in mosaico, rimase poi presso la Pinacoteca Vaticana. Proseguendo sullo stesso lato troviamo un’altra porta intarsiata dove compaiono nei pannelli superiori Sant’Antonio da Padova in atto di ricevere il SS. Bambino e Santa Margherita da Cortona; nei pannelli inferiori è raffigurato l’emblema francescano. Troviamo poi la Porta della Ruota, in cui l’autore “Cristofaro Casari Anconitano” si firma insieme all’anno di esecuzione 1796 ; qui è rappresentata in alto la “Fuga in Egitto” e nel pannello centrale la “Nascita del Redentore”. Sull’Altare Maggiore è collocato il dipinto raffigurante l’Immacolata che reca in braccio il Bambino Gesù, Santa Chiara di Assisi, San Giovanni Evangelista e San Nicolò. La tela presenta al centro la Madonna Immacolata (che ai suoi piedi ha la mezzaluna, simbolo della sua verginità) e il Bambino Gesù; alla sua sinistra vi è santa Chiara di Assisi che sorregge l’Ostensorio con il quale mise in fuga i Saraceni in occasione dell’assalto contro il Monastero di San Damiano in Assisi. In basso vi sono, a sinistra, seduto, San Giovanni Evangelista con accanto l’aquila, suo simbolo e a destra San Nicolò nei paramenti di Vescovo Greco; questi ultimi sono i titolari della soppressa Prepositura. Da una iscrizione posta sulla pietra su cui è seduto San Giovanni Evangelista è stato possibile attribuire questa opera al pittore siciliano Onofrio Gabriello (Gesso-ME, 1619-1706) che la eseguì nel 1695. Onofrio da Messina (così si firma sulla tela) a causa del suo atteggiamento filofrancese dovette lasciare Messina nel 1674 e poté farvi ritorno solo nel 1701: è in questo periodo che il Gabriello viene probabilmente in contatto con l’ambiente artistico marchigiano, essendo stata Ancona una delle sue tappe nel lungo girovagare tra Francia e Italia. Al di sopra di questa tela è posta la decorazione plastica raffigurante “Due angeli e teste di cherubini” del 1792 che possiamo a ragione attribuire, grazie ad una ricevuta firmata, di quaranta scudi, conservata nell’Archivio del Monastero di Santa Chiara, allo scultore di origine fiamminga Gioacchino Varlè (Roma,1734-Ancona,1806).

Informazioni

Nome della tabella
Costruzione XV - XVIII Secolo

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